La ricerca di Dio come primo fine dell’uomo e i monasteri benedettini sorti in ogni angolo d’Europa testimoniano la grandezza dell’opera di san Benedetto (480-547), che con la sua vita ha al tempo stesso glorificato il Creatore e dato un fondamentale contributo alla formazione della civiltà europea. Per questo il 24 ottobre 1964, consacrando la chiesa dell’Abbazia di Montecassino, ricostruita dopo i bombardamenti, Paolo VI volle proclamarlo patrono d’Europa. E ricordò a tutto il Vecchio Continente, nel secolo delle due guerre mondiali e dei totalitarismi atei (nazismo e comunismo), che la storia benedettina «tocca l’esistenza e la consistenza di questa nostra vecchia e sempre vitale società ma oggi tanto bisognosa di attingere linfa nuova alle radici, donde trasse il suo vigore e il suo splendore, le radici cristiane, che san Benedetto per tanta parte le diede e del suo spirito alimentò».

Benedetto, fratello di santa Scolastica, era nato a Norcia intorno al 480, nel bel mezzo dell’epoca segnata dalle invasioni barbariche e dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Era discendente della nobile gens Anicia, la stessa a cui apparteneva papa Gregorio Magno (540-604), che attinse alle informazioni di quattro discepoli del santo per scriverne una famosa Vita, contenuta nel secondo libro dei suoi Dialoghi. Da adolescente era stato mandato dai genitori a compiere gli studi letterari a Roma. Ma la constatazione della vita dissoluta di molti giovani (unita alle insidie per l’anima che trovava in parte del sapere mondano) lo convinse presto a lasciare la città in cerca di un luogo solitario, dove poter stare in raccoglimento con Dio. Dopo una tappa intermedia, il giovane raggiunse Subiaco. Qui visse per tre anni in una grotta in totale solitudine.

Quel primo periodo a Subiaco segnò la maturazione spirituale di Benedetto. Non gli mancarono gli assalti del diavolo e in particolare tre grandi tentazioni: l’amor proprio, la sensualità e l’ira, che il santo superò con la preghiera e la penitenza. Accettò poi di fare da guida a dei monaci che vivevano in un monastero lì vicino, ma li lasciò presto perché questi si stancarono della sua austera disciplina e cercarono di avvelenarlo.

Nell’arco di circa trent’anni arrivò a fondare 13 monasteri nella valle dell’Aniene. Venne poi il 529, un anno cruciale nella storia del monachesimo occidentale, perché il santo si stabilì a Cassino e decise stavolta di edificare il monastero in un punto ben visibile: in cima al monte. Benedetto XVI, prendendo spunto dalle parole di papa Gregorio, ha visto in questa scelta un valore simbolico, legato allo sviluppo interiore del santo patrono d’Europa: «La vita monastica nel nascondimento ha una sua ragion d’essere, ma un monastero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve dare visibilità alla fede come forza della vita».

Sull’altura di Montecassino, san Benedetto compose la sua celebre Regola, che fissa il principio della stabilità del luogo per i monaci e raccoglie il meglio dell’antica tradizione monastica, da san Pacomio a san Basilio (del quale richiamò esplicitamente gli insegnamenti). Perciò san Gregorio ebbe ragione a scrivere: «L’uomo di Dio che brillò su questa terra con tanti miracoli non rifulse meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la sua dottrina», spesso riassunta con la massima Ora et labora. Benedetto, infatti, scandì mirabilmente la giornata in momenti di lavoro e preghiera (fu lui a codificare la Liturgia delle Ore, rifacendosi alle parole del salmista: «Sette volte al giorno ti ho lodato»); e indicò nell’equilibrio tra azione e contemplazione la via verso Dio. Centrale è il proposito di fare la volontà divina, attraverso l’obbedienza: «Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu sia, che avendo deciso di rinunciare alla volontà propria impugni le fortissime e valorose armi dell’obbedienza», scrisse nel prologo della Regola.

L’obbedienza è dovuta anzitutto all’abate, che nel monastero «fa le veci» di Cristo e deve a sua volta essere tenero padre e severo maestro. Grazie ad essa, l’anima può progredire nella virtù dell’umiltà, secondo un cammino suddiviso dal santo in 12 gradi. Nel pensiero di Benedetto, ogni attività – dallo studio della Parola al lavoro manuale – deve essere orientata alla maggior gloria di Dio e perciò alla conquista del Paradiso. «Come c’è un cattivo zelo, pieno di amarezza, che separa da Dio e porta all’Inferno, così ce n’è uno buono, che allontana dal peccato e conduce a Dio e alla vita eterna».

La sete di salvezza, per sé stesso e per le anime, fu dunque la stella polare di tutta la sua vita. È ben nota la visione che Benedetto ebbe nei suoi ultimi anni terreni, quando, mentre vegliava in preghiera, «fu posto davanti ai suoi occhi tutto intero il mondo, quasi raccolto sotto un unico raggio di sole». Commentò papa Gregorio: «Tutto il mondo si dice raccolto davanti a lui, non perché il cielo e la terra si fossero rimpiccioliti, ma perché lo spirito del veggente si era dilatato, sicché, rapito in Dio, poté senza difficoltà contemplare quel che si trova al di sotto di Dio». È uno sguardo, quello di san Benedetto, che l’Europa è chiamata a riscoprire.