La figura di san Lorenzo (†258), diacono e martire, è stata nei secoli fonte di ispirazione per artisti e poeti, da Tiziano Vecellio a Giovanni Pascoli, e oggetto di grande devozione tra i fedeli.
La tradizione riferisce che era nato a Huesca, in Spagna. Dopo gli studi teologici si era trasferito a Roma, distinguendosi per il grande senso del sacro e la carità. Sisto II, eletto al soglio pontificio il 30 agosto 257, lo nominò arcidiacono, una figura che si occupava dell’amministrazione diocesana, coordinava le attività degli altri diaconi e gli aiuti a vedove, poveri e ammalati. Sull’impero regnava Valeriano, che nel mezzo dell’estate del 258 emanò il suo secondo editto contro i cristiani, diretto in particolare a colpire il clero, come informava in una lettera san Cipriano di Cartagine, martirizzato nel settembre dello stesso anno: «L’imperatore Valeriano ha spedito al senato il suo rescritto col quale ha deciso che vescovi, sacerdoti e diaconi siano subito messi a morte».
L’editto imperiale fu eseguito immediatamente a Roma, dove il 6 agosto i soldati sorpresero Sisto II mentre celebrava l’Eucaristia nelle catacombe di San Callisto e lo stesso giorno decapitarono il Santo Padre e sei diaconi (Gennaro, Magno, Stefano, Vincenzo, Agapito e Felicissimo, gli ultimi due sepolti nelle vicine catacombe di Pretestato). Dell’intero collegio diaconale di Roma era rimasto in vita il solo Lorenzo, risparmiato perché l’imperatore si aspettava che gli consegnasse i tesori della Chiesa, con la promessa di salvargli la vita. Si tramanda che allora l’arcidiacono radunò davanti a Valeriano un nutrito gruppo di bisognosi e gli disse: «Ecco i nostri tesori, li puoi trovare ovunque». In prigione confortò, battezzò e donò la vista a un carcerato di nome Lucillo, divenendo inoltre causa di conversione per il centurione Ippolito, colpito tanto dal prodigio quanto dalla serenità del santo.
Il martirio avvenne il 10 agosto. Lorenzo fu bruciato vivo sulla graticola, come si narra in un’antica Passio ripresa da sant’Ambrogio (340-397) nel De officiis ministrorum, che ne riporta pure l’umorismo al momento della prova suprema: «Ecco, da questa parte sono ben cotto; rivoltatemi». San Damaso (304-384) gli dedicò un famoso epigramma, ricordando con parole semplici (verbera, carnifices, flammas, tormenta, catenas…) come le frustate, i carnefici, le fiamme, i tormenti e le catene non avevano potuto nulla contro la sua fedeltà a Nostro Signore. Il martire, che secondo la tradizione aveva 33 anni, venne sepolto lungo la via Tiburtina, presso il Campo Verano. Alcuni decenni più tardi, in piena pax costantiniana, venne eretta sul luogo del sepolcro la basilica di San Lorenzo fuori le Mura, la prima di una trentina di chiese edificate nel tempo a Roma in suo onore. Al IV secolo risalgono tradizionalmente pure San Lorenzo in Fonte (luogo della prigionia) e San Lorenzo in Panisperna (luogo del martirio), il cui nome deriva dall’usanza di distribuire ai poveri ogni 10 agosto, in ricordo del santo, panis et perna, cioè pane e prosciutto.
La data del 10 agosto compariva già nella Depositio Martyrum, redatta intorno al 336, a conferma dell’antichità del culto di san Lorenzo, che rappresenta il modello perfetto del diacono. Questo termine deriva dal greco e significa «servo»: richiama quindi l’insegnamento di Cristo che il santo seppe incarnare nella sua vita. Il suo nome venne incluso nel Canone Romano, la più antica preghiera eucaristica in uso nella Chiesa di Roma e ancora oggi la principale, che ricorda Lorenzo nella parte che celebra la Chiesa trionfante. Come disse sant’Agostino: «Oggi la Chiesa di Roma celebra il giorno del trionfo di Lorenzo, giorno in cui egli rigettò il mondo del male. Lo calpestò quando incrudeliva rabbiosamente contro di lui e lo disprezzò quando lo allettava con le sue lusinghe. In un caso e nell’altro sconfisse satana che gli suscitava contro la persecuzione. […] era ministro del sangue di Cristo e là, per il nome di Cristo, versò il suo sangue. Amò Cristo nella sua vita, lo imitò nella sua morte».